Mancano meno di due settimane al voto e, secondo i sondaggi, al momento nessuna coalizione otterrebbe una maggioranza in parlamento. La forza che riscuote maggiori consensi secondo le ultime rilevazioni dovrebbe essere il Movimento 5 Stelle, mentre la coalizione di centrodestra dovrebbe, tutta insieme, andare vicina al 40%, soglia grazie alla quale è, forse, possibile governare. Entrambi questi schieramenti sono stati accusati di populismo ed euroscetticismo (per la destra, almeno la Lega e Fratelli d’Italia). Solamente il centrosinistra a guida Partito Democratico e la formazione Liberi e Uguali sono apertamente europeisti e propongono di spingere ulteriormente per l’integrazione europea. Negli ultimi mesi il loro peso è però stato in costante calo, lasciando presagire un risultato disastroso alle urne. Questo per effetto di una campagna elettorale condotta malamente dai leader della sinistra, che sono parsi costantemente in balia dell’aggressività della destra. In particolare, LeU assomiglia ad un gruppo di scappati di casa, uniti più dall’odio contro Renzi che da un programma comune, pronti a sciogliersi o a fare da stampella ad un governo di unità nazionale il giorno dopo le elezioni. Se all’inizio sembrava potesse succhiare voti al Partito Democratico, alla fine si è rivelato un flop, condannando a morire una classe dirigente di sinistra apparsa fuori dal tempo e stanca. Si dibatte invece da settimane sul fatto che Renzi, candidato alla carica di primo ministro per il PD, avrebbe dovuto fare un passo indietro a favore di Gentiloni, il premier uscente. A mio avviso però lo scenario non sarebbe migliorato di molto. Il punto cruciale infatti è che il Partito Democratico, che solo qualche anno fa rappresentava il cambiamento rispetto alla corruzione, all’inefficienza e agli scandali dell’ultimo governo Berlusconi, ormai è l’ombra di se stesso. Dall’ascesa di Renzi, le continue e costanti lotte intestine, le riforme parziali e contestate e il carattere dell’ex primo ministro hanno creato un astio nei confronti del partito che rivaleggia con quello del PDL nel 2011. In questi ultimi mesi poco o nulla è stato fatto per correggere questa percezione, al punto che ora i ruoli si sono invertiti: sono destra e Movimento 5 Stelle quelli che sembrano portatori di un rinnovamento, rispetto ad un PD incapace di non apparire come il rappresentante dell’establishment. Le apparizioni in televisione o sui social di Renzi sono ormai un misto di autocompiacimento per i risultati acquisiti, arroganza e incapacità di rispondere ai bisogni dei cittadini. Ogni intervista o discorso porta solo rabbia e rancore nell’audience, perché sembrano totalmente sconnessi dalla realtà percepita di tutti i giorni. La famiglia che non riesce ad arrivare a fine mese, l’operaio che è costretto a sperare che il contratto gli venga rinnovato ogni due mesi con dei salari da fame, il neolaureato che si ritrova a lavorare gratis per mettere qualcosa in curriculum o che deve scappare all’estero per avere un futuro se ne frega della crescita del PIL all’1,5% o degli ottanta euro o ancora della buona scuola. Renzi non riesce più a far passare loro l’idea che, votando PD, si possa avere un futuro migliore. È più facile ascoltare le promesse fasulle e mirabolanti di destra e M5S rispetto all’autoreferenzialità elitaria renziana. L’Europa doveva essere un forte argomento di speranza per la sinistra, dato l’imbarazzo degli oppositori nel bilanciare al loro interno istanze europeiste ed euroscettiche, ma il tutto è diventato fumoso e nullo, perché è stato più comodo coprire le manovre più sofferte con un montiano “ce lo chiede l’Europa” piuttosto che spingere sui valori fondanti l’Unione. L’UE infatti non è solo vincoli: è speranza. Quella che il PD voleva rappresentare in Italia e che ora non esiste più nel cuore degli italiani. Argomentare semplicemente parlando di “statarelli alla deriva”, come ha fatto di recente la Bonino, o sulle conseguenze dell’uscita dall’euro, che ormai non propone più nessuno, non basta. Bisognava far capire ai cittadini che scegliere la sinistra significava battersi per un’Italia ed un’Europa più giusta, equa, sociale. Ormai invece, è troppo tardi, e l’ombra nera euroscettica scende cupa sul 4 marzo.
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Filippo Albertin
Il filo-europeismo del cosiddetto centrosinistra, in realtà cricca di potentati che fondano liste e partiti solo per ordire congiure di palazzo e fare compravendita di parlamentari, è solo di facciata, e riguarda unicamente il mantenimento dello status quo, tecnocratico, neoliberista, speculativo e antidemocratico. Paradossalmente, l’unico vero europeismo è quello rappresentato da chi, come Potere al Popolo, vuole mettere in discussione “questa” Europa, per ricostruire una “nuova” Europa con una seria rappresentanza democratica di stati sovrani, e non di sudditi genuflessi. Solo attraverso un ripensamento dell’intero impianto istituzionale e sociale europeo – penso soprattutto a movimenti di stampo socialista progressista come La France Insoumise ed European United Left & Nordic Green Left European Parliamentary Group – si potrà creare la grande Europa federale pensata da Rossi e Spinelli…