Il blog del Movimento Federalista Europeo - sezione di Vicenza

Politica estera

Ogni guerra è una guerra civile

Il raid statunitense, ordito direttamente da Donald Trump, che ha ucciso il popolarissimo e influente generale Qasem Soulemani ha aperto una crisi internazionale che ha tenuto gli abitanti di tutto il mondo col fiato sospeso per giorni. Tuttavia, la situazione è sembrata prendere una piega diversa rispetto alle azioni militari americane degli anni passati: gli USA sono autosufficienti dal punto di vista delle riserve petrolifere già da diverso tempo e in generale non è sembrato che avessero una vera e propria strategia. Gli animi sembrano comunque essersi calmati: al raid dell’Iran contro le basi americane in Iraq, il presidente americano ha risposto con un discorso (insolitamente) diplomatico in cui annunciava lo stop dell’escalation – questo dopo giorni di tweet incendiari e minacce addirittura contro i siti culturali iraniani. È notizia fresca inoltre che il disastro dell’aereo ucraino della scorsa settimana è stato causa di un errore umano nell’esercito iraniano, che lo ha scambiato per un veicolo ostile. Lo stesso presidente iraniano Rohani, ha definito l’incidente “una grande tragedia” e “un errore imperdonabile”, contribuendo ad allentare la pressione.

Ma quello mediorientale non è l’unico fronte caldo. In Libia il governo riconosciuto internazionalmente di Fayez Al-Serraj ha chiesto l’aiuto della Turchia nella guerra civile contro il generale Khalifa Haftar, sostenuto da Putin. Proprio nel momento in cui scrivo (13 gennaio) si sta preparando una tregua proprio sotto l’egida dei leader turco e russo, da firmarsi a Mosca nelle prossime ore. La situazione è comunque in continuo movimento e diversi analisti sostengono che il cessate il fuoco sia provvisorio e fragile, anche visti i recentissimi scontri tra le due fazioni di cui si è parlato prima.

In definitiva, l’azione di Trump è stata solo l’ultimo tassello di uno scenario internazionale più che mai confuso e in agitazione (e non si è qui parlato del fronte siriano, yemenita, pakistano, ecc.). E l’Unione Europea cosa fa? Ecco, l’Unione Europea sta a guardare. Fa appelli, scrive risoluzioni, e allo stesso tempo i singoli leader europei prendono (o non prendono) altre posizioni e scrivono altre risoluzioni. I problemi dell’incapacità delle istituzioni europee da un lato afferiscono sicuramente a problemi strutturali e quindi riguardo a come è stata progettata l’Unione fin a ora. Tra questi sicuramente rientra il fatto che non esista un ministro degli esteri in grado di parlare a una sola voce: dietro le questioni più importanti sta sempre infatti la voce del Consiglio europeo e quindi del voto all’unanimità. Altra questione di assoluta importanza è la mancanza di una forza militare europea (ad oggi ci sono solo alcune forme di coordinamento di milizie nazionali). Questi sono sicuramente due tasselli fondamentali per la costruzione di un’Europa più unita e più forte nel mondo, nonché due bandiere e due punti fermi dei federalisti europei.

Tuttavia credo che l’impotenza e l’inefficacia della politica estera europea non sia da ritrovare solo in motivazione di carattere istituzionale e geopolitico. Una parte della debolezza internazionale dell’UE è senza dubbio anche collegata ai valori di fondo con cui è nato il sogno europeo. L’integrazione europea è iniziata e avanzata per rendere materialmente impossibile che in Europa, teatro per secoli di guerre fra stati ed entità politiche al suo interno, si combattesse ancora; ma non solo. La vocazione federalista e kantiana mette al centro del proprio progetto politico l’istituzione della pace in senso integrale, cioè della pace mondiale. Riguardo a questo punto è illuminante l’articolo di Andrea Bonanni uscito su Repubblica il 5 gennaio in cui il giornalista afferma che “è il DNA stesso dell’Europa, nata dagli eccidi delle due guerre mondiali, a rifiutare l’uso delle armi come mezzo per la risoluzione delle controversie fondamentali”. Allo stesso tempo egli ci avvisa che “la solitudine dei nostri valori, sta diventando solitudine politica e debolezza diplomatica”. Quindi, l’assenza dell’Unione Europea dalle dispute internazionali non è solo un difetto della sua scarsa integrazione in alcune aree, ma anche un pregio, per così dire, derivante dalla sua storia e dalla sua essenza. La differenza tra l’Europa e il resto del mondo si riflette (con alcune eccezioni) anche in due concezioni diverse delle controversie internazionali: una finalizzata alla stabilizzazione delle situazioni e alla pace, una al soddisfacimento di interessi economici e strategici. La seconda è il modus operandi sulla scena mondiale attualmente, ma la prima dev’essere il nostro continuo orizzonte, per giungere finalmente a un sistema mondiale federale che garantisca pace e rappresentanza al tempo stesso. Ciò avverrà quando si capirà quello che già diceva Cesare Pavese nel 1947 in La casa in collina e cioè che “ogni guerra è una guerra civile”.

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