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Politica interna

Una morte a 5 stelle

Se i risultati di Emilia-Romagna e Calabria hanno avuto percentuali da bipolarismo, lo si deve soprattutto al collasso elettorale del Movimento 5 Stelle. Ben lontano dai fasti del loro 32,68% alle politiche 2018, in meno di due anni si sono ritrovati ad avere percentuali ridottissime, fallendo addirittura il raggiungimento della soglia di sbarramento in Calabria, una delle regioni in cui era partito di maggioranza relativa. Come è stato possibile un collasso così repentino? Le cause sono complesse e molteplici, ma si possono riassumere in questo modo: coesione interna forzata, mancanza di coerenza e personalità, leadership arrangiata, programma e ideologia inconsistente.

Partendo, in ordine: il Movimento 5 Stelle, dalla nascita, è sempre stato composto da più anime, tenute insieme da valori molto generici e allargati come onestà, giustizia, mito del cittadino comune. In particolare, nel partito vi sono presenti sia una corrente di sinistra (guidata dall’attuale presidente della camera Fico), sia una di destra (con riferimento Di Battista). Le due fazioni guardano a due modelli valoriali differenti e distanti e considerano interlocutori possibili due gruppi distanti: la prima il Partito Democratico, la seconda la Lega. Fino alle elezioni del 2018, questa contraddizione interna era stata evitata bollando qualsiasi altro partito come “tradizionale”, “antidemocratico” o “corrotto” e giudicando non realizzabile qualsiasi ipotesi di alleanza. Si è fatto sempre più chiaro però che il Movimento non sarebbe mai stato in grado di governare da solo, in quanto le leggi elettorali scritte finora sommate alla situazione politica non favorivano un partito solo al comando, ma coalizioni e alleanze. La classe dirigente, di fronte allo stallo postelettorale, ha dovuto decidere se condannare il partito ad opposizione permanente o cercare interlocutori e compromessi. Scegliendo la seconda, seppur comprensibilmente, hanno messo a nudo la divisione interna sia di elettorato che di rappresentanti, scontentando per forza parte di questi ed esponendo i restanti ad un dubbio ideologico (rimanere nel partito o passare alla versione tradizionale?). Il risultato è stato un’incredibile dispersione di voti e parlamentari dai 5S verso Lega, PD e astensione (misto nel caso dei rappresentanti), provocandone il collasso elettorale. Banalmente, per esempio, martellando su immigrazione e sicurezza durante il governo con la Lega, i 5 Stelle hanno spinto i propri votanti verso il partito di Salvini, più consolidato e sicuro sul tema. L’inabilità della classe dirigente di gestire il conflitto interno, usando repressione, espulsioni e smentite ad ogni voce contraria, ha solo peggiorato la situazione, obbligando i parlamentari a votare contrariamente ai propri principi, a non esprimere dissenso e dando la sensazione di essere un partito gestito in maniera dittatoriale.

Un altro difetto del Movimento è sicuramente la sua incoerenza. La tecnica dei due forni, come già scritto, ha causato una crisi ideologica interna al partito. La dirigenza non è riuscita efficacemente a giustificare il cambiamento identitario e valoriale da opposizione a maggioranza con la Lega a maggioranza con il PD. La nonchalance con cui si è deciso di passare da un’alleanza all’altra, con poche spiegazioni, cambiando da un giorno all’altro atteggiamento su vari temi, ha causato non poca confusione nell’elettorato. D’altronde, quando in meno di un mese passi dal chiamare una fazione “il Partito di Bibbiano” e poi ti ci allei, cosa dovresti aspettarti? Tragicomico anche l’atteggiamento sulle autorizzazioni a procedere, dove il Movimento, quasi senza spiegazione, è stato a favore o contrario a seconda della convenienza, su casi pressocché identici. A questo si aggiunge il fatto che la dirigenza non ha la personalità di affermare una linea unica coerente, sempre soggetta agli umori del partito alleato o di elettorato, cambiando opinione a seconda della situazione.

A riguardo proprio della leadership, il Movimento 5 Stelle manca di una vera e propria classe dirigente. Se a Di Maio bisogna riconoscere di essere più o meno (ma, con il passare del tempo, sempre meno) riuscito a tenere assieme il partito e a dargli un indirizzo, le sue dimissioni qualche giorno fa hanno messo a nudo la mancanza di una vera alternativa. Gli altri dirigenti infatti o mancano di carisma o sono troppo divisivi. Scegliere come leader ad interim Crimi, una figura che è sparita da anni dalla scena politica principale, mostra tutta la paura di Casaleggio e Grillo che un personaggio forte come Di Battista o Fico possa dare il colpo di grazia al Movimento.

Infine, i 5 Stelle sono nati come movimento volutamente antiideologico e antisistema, ma questo ha causato un’ambiguità di fondo da cui il partito non ha saputo tirarsi fuori. La loro inconsistenza è venuta prepotentemente fuori quando hanno governato, in modi più disparati. Essere di sinistra o di destra non è qualcosa di possibile, in quanto queste due realtà incarnano un set valoriale dl quale è difficile trascendere. Non schierarsi significa solo schierarsi inconsciamente a targhe alterne, creando confusione e incoerenza.

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