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Economia

I dilemmi della politica fiscale

Il governo gialloverde approverà prossimamente la prima manovra economica del suo mandato. Questa ha già suscitato le polemiche dell’opposizione e dell’UE per il suo deficit, annunciato al 2,4%, in controtendenza con quanto negoziato nella precedente legislatura. In realtà, la legge di bilancio non è disastrosa per l’aumento del debito, che già di per sé dovrebbe far pensare per uno dei Paesi più indebitati del mondo, ma per l’idea d’Italia che i due partiti al governo trasmettono alla Nazione. I due provvedimenti principali saranno infatti “un assaggio” di flat tax e di reddito di cittadinanza, completando poi con l’innalzamento delle pensioni minime. Analizzandone il principio filosofico dietro, ci si accorge che sono l’esatto emblema del perché l’Italia è un Paese che non funziona.

La flat tax dovrebbe essere la risposta all’annosa questione dell’asfissiante pressione fiscale, sia in termini di quantità che di complessità. Il risultato invece sarà un pasticcio colossale. L’abbassamento della quota sarà molto più tangibile per i ricchi, mentre i poveri si ritroveranno con molte meno detrazioni e con i servizi tagliati per far fronte alla spesa. Tutto dovrebbe reggersi per il fatto che la parte ricca della popolazione investirebbe poi il tutto in Italia, ma non solo questa cosa non è vera, anzi, è molto sicuro che parte dei soldi extra vengano trasferiti o investiti da altre parti. Di fatto, vengono sottratte risorse allo Stato ed all’economia nazionale, ad esclusivo favore di coloro che di soldi ne hanno già abbastanza. Per non parlare del condono fiscale aggregato, che di fatto è una legittimazione dell’evasione fiscale in barba a chi invece le tasse le ha pagate regolarmente.

Il reddito di cittadinanza invece sembra una soluzione giusta sulla carta. Si aiutano i milioni di poveri presenti sul territorio nazionale dando loro un salario temporaneo mentre lo Stato li cerca lavoro. Ad un’attenta analisi però, si vede subito come questa sia una trovata sia dannosa che utopistica. Partendo dall’inizio, i beneficiari dovrebbero essere i poveri ed i disoccupati. Il problema qui è che, in un Paese dove l’evasione fiscale è endemica ed il lavoro in nero altrettanto, sarebbe impossibile distinguere tra chi effettivamente non ha da mangiare e chi invece trucca gli introiti per pagare poco o nulla allo Stato. Ci si ritrova poi nel dilemma etico di chi si spacca la schiena con lavori umili, ma pesanti, ottenendo un salario misero, che si vedrebbe (quasi) raggiunto come introiti da dei disoccupati. Perché fare l’operaio a 900 euro al mese se posso bivaccare in comune a 780, più eventuali entrate da lavori pagati sottobanco? Di fatto, fare il cameriere a nero diventa più remunerativo. Il secondo aspetto da considerare è quello del lavoro. Secondo il governo, i 6 milioni di poveri dovrebbero lavorare per il comune di riferimento “gratis” finché i centri per gli impieghi non offrono loro 3 posti di lavoro. Per rendere possibile questa operazione, servirebbero 6 milioni di posti nei servizi comunali più 6 milioni di posti vacanti per la “prima tornata” e così via. Ovviamente, tutti lavori che non esistono (e, se ci fossero in tale abbondanza, i suddetti disoccupati li riuscirebbero a trovare benissimo anche da soli). Di fatto, si crea un esercito di parassiti che aspettano da mamma-Stato di ricevere per grazia divina un lavoro. Oppure, peggio ancora, che sfruttano il fatto che questa non riesca a trovargliene abbastanza per arrotondare lo stipendio senza muovere un muscolo.

Le pensioni minime a 780 euro sono ancora una volta lo specchio dell’ingiustizia del sistema. Per avere una pensione inferiore a questa cifra, il pensionato deve avere pagato una miseria in contributi o aver lavorato per davvero poco tempo. Di fatto, ancora una volta, si equipara chi una pensione misera se l’è sudata, con chi invece i contributi non li ha pagati. Decenni di tasse pagate per nulla, perché tanto poi lo Stato mantiene comunque chi, degli altri, non se ne è mai fregato.

Da tutto questo, ne consegue che la manovra premia di fatto i furbi del sistema. Lavorare in nero e non pagare le tasse conviene, perché tanto poi è lo Stato che tramite assistenzialismo e condoni ti mette in regola. Chi invece si spacca la schiena, si fa fare le fatture, paga le tasse regolarmente, si vedrà regolarmente superato da chi le regole non le rispetta. Perché in Italia vince sempre chi è furbo, non chi lo merita.

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