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Politica estera

Il cielo si tinge di grigio per Trump

Alle elezioni presidenziali degli Stati Uniti mancano cinque mesi: cinque mesi possono essere pochi, ma anche tanti. Non sono probabilmente sufficienti per rimediare agli errori fatti durante tre anni e mezzo di mandato, ma possono riservarci grandi colpi di scena. Certo è che la prospettiva per il Presidente in carica Donald Trump non è delle più rosee: a confermarlo un recentissimo sondaggio di CNN che ha fatto il giro del mondo, sostenendo che il rivale democratico Joe Biden fosse in vantaggio di ben 14 punti (55% contro 41%). Non stupisce nessuno che il Presidente abbia immediatamente negato i numeri della CNN: “Sono falsi come le loro notizie”, dice, e chiede addirittura all’emittente di ritirare i risultati. A confermare però questa tendenza nei giorni scorsi è stato un altro sondaggio lanciato da Fox News, secondo il quale il 55% degli americani sarebbe insoddisfatto dell’operato di Trump.

Se è vero che i sondaggi non sono una scienza esatta, lo è altrettanto il fatto che gli ultimi mesi di presidenza sono stati un vero disastro. Prima di tutto, imbarazzante è stato il modo in cui Trump ha gestito l’emergenza coronavirus: una contraddizione dietro l’altra, ha detto e fatto tutto e il contrario di tutto. Inizialmente ha definito il covid-19 come “un’influenza qualsiasi”, sottovalutazione che ovviamente ha comportato un ritardo nell’adozione di tutte le misure necessarie per fronteggiare la diffusione del virus. Una volta resosi conto della gravità della situazione e della velocità del contagio, Trump si spinge a dire che se le vittime negli Stati Uniti non supereranno le 100.000 unità, si riterrà soddisfatto; veste poi i panni dello scienziato, proponendo di iniettare il disinfettante. Solo successivamente specificherà che la sua proposta era ironica (nessuno ha riso, però). Oggi gli Usa detengono il triste primato delle vittime da covid-19, e il calo di occupazione e il blocco totale di interi settori produttivi spingono gli esperti a parlare di recessione.

Determinante per l’esito delle elezioni presidenziali potrebbe essere però la gestione delle proteste antirazziali innescate dall’omicidio dell’afroamericano George Floyd, avvenuto lo scorso 25 maggio a Minneapolis ad opera di un agente di polizia che immobilizza l’uomo tenendo un ginocchio sul suo collo, impedendogli di respirare. La morte di Floyd viene filmata, e il video diventa subito virale, scatenando proteste pacifiche e non che da settimane ormai hanno superato i confini degli Usa. Le manifestazioni violente spingono il governatore del Minnesota a chiedere l’intervento della Guardia nazionale nella città di Minneapolis, e Trump consente la mobilitazione di 500 agenti. Solo qualche giorno dopo minaccia di utilizzare l’Insurrection Act, un atto risalente al 1807 che gli consente di inviare l’esercito per sedare le rivolte. Insomma, le scelte politiche di Trump non sembrano di certo volte ad una svolta culturale, ma piuttosto a tamponare, a mettere delle pezze. Alla stampa il Presidente si limita a commentare questo ennesimo omicidio a sfondo razziale come una “tragedia grave, che non sarebbe dovuta succedere”: parole queste, che non si avvicinano neanche lontanamente alla complessità e gravità del fenomeno del razzismo radicato negli Stati Uniti. La morte di George Floyd, d’altra parte, non è altro che la goccia che ha fatto traboccare il vaso.

Trump, come d’altronde è nel suo stile, ha continuato a negare la crisi della sua presidenza. Tutto ciò fino allo scorso sabato 20 giugno, quando il Presidente per la prima volta ha toccato con mano la perdita di consenso. Nello scenario di un’arena di Tulsa, in Oklahoma, si sarebbe dovuto tenere il primo comizio della nuova campagna elettorale. Erano attese circa 20.000 persone, cioè la capienza dell’arena stessa. Forse per paura del contagio da coronavirus, forse per risentimento nei confronti di Trump, o ancora, come sostiene la sua amministrazione, a causa di un boicottaggio social, il risultato è comunque pessimo: al comizio partecipano appena seimila persone, e il Presidente è addirittura costretto a cancellare un discorso che avrebbe dovuto tenere sul palco esterno all’arena per mancanza di spettatori.

Infine, in una situazione già così precaria per la poltrona di Trump la ciliegina sulla torta potrebbe essere la pubblicazione non di uno, ma di ben due libri colmi di rivelazioni scomode. È prevista per la prossima settimana l’uscita di “The room where it happened”, che vede la firma di John Bolton, l’ex consigliere per la Sicurezza nazionale dell’Amministrazione di Trump, cacciato dal Presidente stesso lo scorso settembre. Tra i racconti inediti del libro spicca l’accusa a Trump di aver proposto al presidente cinese Xi Jinping di comprare grandi quantità di prodotti agricoli statunitensi, in modo da garantirsi il consenso degli agricoltori alle prossime elezioni. Dovremo aspettare invece la fine di luglio per conoscere il contenuto di “Too much and never enough”, scritto dalla nipote del Presidente. Insomma, per Trump si preannunciano mesi molto intensi, in cui dovrà fare di tutto per rilanciare la propria presidenza, che in questo momento sta toccando il suo punto più basso. Ma la partita è ancora aperta.

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