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Economia

La Nuova Via della Seta: minaccia o opportunità?

Il governo cinese ha cominciato, nel 2013, uno fra i più ambiziosi progetti infrastrutturali mai realizzati nella storia. Si tratta della “Belt and Road Initiative” (BRI), che viene spesso chiamata “Nuova Via della Seta” perché ripercorre quelle direttive che Marco Polo ci raccontò più di mezzo millennio fa. Nonostante in Italia non se ne parli affatto, la BRI è carica di conseguenze economiche e geopolitiche e il nostro paese ne è direttamente coinvolto. Si tratta di un progetto così importante che rischia di ribaltare gli scenari globali come li conosciamo ora, ribaltando il principale centro di potere dagli USA alla Cina. Credete che esageri? Continuate a leggere, e scoprirete che potreste avere anche voi qualche motivo di preoccupazione.

Prima di tutto, è necessario presentare gli aspetti salienti della BRI. La Nuova Via della Seta si compone di 6 principali corridoi economici, più uno che passa sopra la Siberia e che è aperto solo 3 o 4 mesi all’anno, grazie al riscaldamento globale. Si tratta di una combinazione di iniziative terrestri – come la linea Shenzen-Rotterdam, che è anche l’unica ad essere completata – e marittime, che sono più lente ma godono di un minor rischio geopolitico rispetto ad una ferrovia che deve attraversare decine di stati prima di arrivare a destinazione.

I paesi coinvolti sono prima di tutto le ex repubbliche sovietiche e il Sud-Est asiatico, geograficamente e culturalmente vicine alla Cina. Altri centri importanti sono il Medio Oriente, che sta rallentando vistosamente le opere a causa delle guerre e dell’incertezza che vi regna, e l’Est Europa. Qui, infatti, la Cina ha lanciato la “16+1 Cooperation”, in cui si impegna a sostenere con più di €15Mld le infrastrutture dei 16 paesi che vanno dalle repubbliche baltiche ai Balcani e alla Grecia, passando per il blocco di Visegrad. Infine, la BRI sta lentamente penetrando in Africa – in particolare nella costa Est – e in America Latina. Tuttavia, questi ultimi due scenari rimangono ancora secondari.

Fino a qui sembra che tutto funzioni a meraviglia: alcuni fra gli staterelli più poveri al mondo guadagnano infrastrutture da sogno e l’accesso al mercato cinese, fatto da 1,3 miliardi di consumatori affamati. Penso però che già a questo punto dell’articolo siano evidenti le implicazioni geopolitiche della BRI.

Prima di tutto, la Cina sta attirando a sé l’Est Europa. Non è un caso se da 5-6 anni i paesi di Visegrad hanno iniziato a fare la voce grossa. Il Dragone sta offrendo loro un’alternativa illiberale alle istituzioni comunitarie, e i governi di Ungheria, Polonia, Slovacchia e Repubblica Ceca ne stanno approfittando per guadagnare potere contrattuale con Bruxelles. Secondo, la Cina sta intensificando gli scambi commerciali e gli investimenti in Russia – non solo con la tratta che ferma nei porti siberiani. Di conseguenza le sanzioni europee non danneggiano l’economia russa; a dirla tutta sortiscono l’effetto contrario, perché la avvicinano alla Cina. Lo stesso vale per la Turchia di Erdogan, che ha trovato negli investimenti asiatici e mediorientali la cura perfetta per un’economia che arranca. Infine, la penetrazione cinese in America Latina, storicamente area d’influenza americana ed europea, infastidisce non poco gli Stati Uniti. Allo stesso tempo, però, Trump ha cancellato la TransPacific Partnership (TPP), che avrebbe esteso i tentacoli americani proprio sulle regioni che oggi sono state fagocitate dalla Cina.

Alcuni analisti osservano addirittura che la BRI sia una risposta ai tanti trattati di libero scambio promossi dalla seconda amministrazione Obama. Forte ormai di un’economia globale e competitiva, nonché di un mercato che qualsiasi azienda sogna, Xi Jinping ha pensato che fosse ora di mettere a frutto queste caratteristiche. La mobilitazione di risorse è stata notevole: sono stati creati dei fondi ad hoc (il Silk Road Fund) e degli istituti di credito che possono erogare prestiti alle aziende o agli stati che vogliono prendere parte alla costruzione della BRI. Considerando che le quattro più grandi banche cinesi sono di proprietà dello Stato e che le aziende statali sono ormai in ogni angolo del globo (conoscete Huawei?), si capisce che non è stato difficile trovare le risorse da investire.

La BRI estenderà il modello di economia cinese e la sfera d’influenza del Dragone fino a Ovest, fino a lambire il porto di Marghera e di Trieste. Ciò significa non solo maggior competizione per le nostre aziende, ma anche un pericoloso sbilanciamento dell’equilibrio geopolitico che dura da anni. Ci avviamo ormai a passo deciso verso una seconda edizione del bipolarismo che ha caratterizzato gli anni ’50, ’60, ’70 e ’80, e possiamo solo immaginare come gli Stati Uniti e la Cina imposteranno i loro rapporti. Accetteranno gli USA il sorpasso economico cinese, che è ormai solo una questione di tempo? Ahimè, non me la sento affatto di escludere che ci possa essere un conflitto sul lungo periodo. Xi sta lanciando in modo convinto l’assalto al primato americano; leggiamo delle bizze nel Mar Cinese Meridionale, degli investimenti in Sud America, delle prime clonazioni e delle conquiste spaziali, prima con l’allunaggio e poi con il primo vegetale coltivato nello spazio. Quanto potrà tirarsi la corda, prima di spezzarsi? E cosa succederà all’Europa, in caso di una seconda Guerra Fredda? Queste sono tutte domande che dobbiamo porci.

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