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Politica interna

Italia alla deriva

Come molti prevedevano, il risultato elettorale di domenica ha confermato la frammentazione del sistema politico italiano. Per scongiurare il naufragio del Paese, il prossimo Governo dovrà trovare un ancoraggio con Bruxelles e affiancare l’europeismo di Parigi

 

Il voto di domenica non ha riservato grandi sorprese. E’ andato come previsto da sondaggisti e politologi, che questa volta hanno colto nel segno e recuperato la credibilità compromessa da precedenti clamorosi errori di valutazione. E’ andato come previsto anche dai protagonisti in lizza, alcuni dei quali lo hanno affrontato con sufficienza, considerandolo un passaggio a vuoto cui dovrà seguire a breve una seconda consultazione.

In sintesi il voto ha confermato la frammentazione del sistema politico nazionale, che ha  apparentemente cercato di aggregarsi attorno a tre poli. Quello di centro destra ha raccolto il 37% dei consensi ed è aritmeticamente il vincitore della contesa, ma è disomogeneo come si vede dai contrasti tra Forza Italia e Lega; quello di centro sinistra ha raccolto il 23% e ha dovuto  scontare la dissidenza di Liberi e Uguali. Il M5S ha fatto gara per conto proprio e come terzo polo ha ottenuto un clamoroso 32%, che tuttavia non può far dimenticare comportamenti eccentrici e ricorrenti espulsioni dei propri adepti. Nessuno dei tre ha comunque abbastanza parlamentari da esprimere una maggioranza e le prospettive di governabilità sono al momento confinate in una  terra di nessuno.

Questo risultato è stato non solo previsto, ma in qualche misura voluto. Lo possiamo capire dando un rapido sguardo alle leggi elettorali succedutesi negli ultimi anni, assieme al contesto politico che le ha ispirate. Possiamo prendere come anno di partenza il 2013, quando la Consulta dichiara la incostituzionalità della legge Calderoli del 2005, dallo stesso autore definita Porcellum per lo stratosferico premio di maggioranza ed il divieto del voto di preferenza. Ha inizio allora un confronto politico, che due anni dopo porta all’ approvazione dell’Italicum con una impostazione proporzionale, uno sbarramento del 3%, un premio di maggioranza per chi supera il 40% ed il ballottaggio al secondo turno se non viene raggiunta questa percentuale, per sapere “la sera stessa dei risultati chi ha vinto e chi ha perso”. La legge è riferita alla sola Camera all’interno di un processo politico che vuole la trasformazione del Senato in una Camera di rappresentanza di Regioni e Comuni, assieme a molte altre proposte di riforma come la soppressione delle Province divenute inutili dalla istituzione delle Regioni (1970).

Il protagonista in campo è Matteo Renzi, che si intesta il pacchetto di riforma e dopo l’approvazione del Parlamento affronta il referendum popolare, mettendoci la faccia. La perde il 4 dicembre 2016 e deve farsi da parte, lasciando spazio a nuovi leader che tuttavia non emergono nonostante il crescente peso del M5S. Di fronte alla prospettiva di una affermazione grillina, tutti i partiti salvo qualche eccezione adottano allora una strategia opposta: annacquare il risultato elettorale e riportare tutti i giochi in Parlamento. Si arriva così al Rosatellum, approvato nell’ottobre 2017 col viatico di una scandalosa sentenza della Consulta, che dichiara incostituzionale il ballottaggio adottato da tempo immemore nelle maggiori democrazie occidentali ed in uso nelle nostre elezioni amministrative .

L’altro risultato voluto è l’astensionismo. Esprime da tempo la disaffezione per la politica e questa volta si è assestato al 27% superiore al 25% del 2013, che è stato il dato più elevato dal dopoguerra in poi. Se non l’hanno voluto, i partiti hanno almeno dimostrato di non temerlo e hanno condotto una campagna elettorale sfacciata, promettendo la luna nel pozzo. Per questo, molti italiani si sono sentiti presi in giro e hanno disertato le cabine. Non hanno sentito parlare di lavoro, impresa, ambiente, sanità, giustizia e per contro sono stati sommersi da una valangata di fantasiosi regali, come pensioni più elevate, redditi di cittadinanza, flat tax, gratuità diffuse e giù per li rami fino all’abolizione del canone Rai. Mentre crescevano nel frattempo tariffe elettriche e telefoniche, non potevano credere di essere diventati per magia il Paese di Bengodi ed erano consapevoli che la nostra spesa pubblica non avrebbe sopportato aumenti nemmeno marginali.

Fra pochi giorni Mattarella comincerà le consultazioni, sapendo che per assumere responsabilità governative ciascuno dei tre poli dovrà trovare l’appoggio di ulteriori parlamentari. Quelli che mancano potranno venire da parti diverse e perfino dai nostri più deprecati difetti, come alcuni commentatori hanno rilevato ancor prima del voto. Antonio Polito, per citarne uno, ha scritto che potrebbero farsi avanti transfughi da una formazione all’altra e poche decine di “responsabili” potrebbero essere sufficienti a garantire la durata della legislatura o di una sua parte. Allo stesso modo, proprio la frantumazione in piccoli partiti potrebbe rendere più facili aggregazioni dell’ultima ora, mettendo insieme fazioni che si sono combattute durante la caccia al voto. In un modo o nell’altro, l’Italia  riuscirebbe a cavarsela e comunque non sarebbe messa peggio degli Usa dove Donald Trump è diventato Presidente restando sotto di tre milioni di voti, o della Germania reduce da elezioni inconcludenti, o perfino del Regno Unito, che si è perso nelle nebbie della Brexit nonostante un sistema elettorale iper maggioritario.

Ma noi non siamo assimilabili a questi Paesi. In Europa siamo uno dei più deboli e con questi artifizi esprimeremmo un leader con le stampelle, che a Bruxelles dovrebbe misurarsi con colleghi dotati di ben altre credenziali sul piano economico, finanziario, militare. L’Unione è ancora una confederazione ed è sostanzialmente un tavolo attorno al quale si siedono periodicamente Capi di Governo e di Stato per difendere gli interessi nazionali in questioni di rilevanza continentale. Attorno a questo tavolo, la credibilità italiana è molto bassa ed è misurata dal nostro stratosferico debito arrivato al 132% del Pil e secondo solo a quello della Grecia. La sua riduzione si è dimostrata impraticabile a livello nazionale ed è ormai evidente che può essere affrontata solo con una rete di protezione europea. Bisognerà confidare nella Bce e nella sua disponibilità a continuare a garantirci un costo ragionevole, almeno non superiore ai 65 miliardi di euro/anno di interessi passivi ai quali siamo scesi grazie al quantitative easing di Mario Draghi. In una prospettiva di più lungo periodo, bisognerà poi far pressioni affinché vengano emessi  eurobond per mutualizzare  parte del debito e project bond per rilanciare lo sviluppo, di cui da tempo si parla.

Ma per ottenere questo, la coalizione candidata a governarci dovrà rendersi credibile con un programma di riforme serio e cercare un ancoraggio con Bruxelles, magari passando per Parigi dove la prospettiva europea è stata ben coltivata ed ha portato fortuna a chi l’ha fatto.

 

 

 

  1. Carla Nicolussi

    Pregevole articolo per analisi del risultato elettorale a caldo e per la chiarezza della carrellata sulla ricerca ancora in atto della miglior legge elettorale.
    Noto e confermo propensione italiana- veneta- vicentina ad autocritica distruttiva. Vorrei fare qualcosa per farla diventare costruttiva. Sono Carla Nicolussi: carlamusnic@gmail.com

  2. Renato Rossi

    complimenti per l’analisi. Ritengo che in questo momento per rapportarsi con maggior serietà e responsabilità all’Europa sia opportuno considerare anche le soluzioni che in Germania e Francia sono state trovate per dare una risposta ai tanti problemi che da noi hanno alimentato la protesta. Circa la soluzione a breve penso che l’ipotesi Polito possa avere qualche “chance”. Su oltre 300 neofiti non dovrebbe essere difficile che qualche decina preferisca tenersi l’indennità piena per vari motivi (tengo famiglia, pressioni varie ecc. ) con le gustose conseguenze che ne deriverebbero.

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